sabato 8 dicembre 2007

LA VITTORIA TRUCCATA DI PUTIN L' AYATOLLAH


GARRY KASPAROV*

Il significato delle elezioni parlamentari russe non va cercato nei risultati. Non ci sono mai stati dubbi che il partito di Putin, «Russia Unita», avrebbe ottenuto una maggioranza schiacciante. «Russia Unita», con il presidente in carica al primo posto della lista, ha goduto di tutti i vantaggi immaginabili, legali e illegali. Ai gruppi di opposizione, compresa la nostra coalizione «L’altra Russia», è stato negato l’accesso al voto attraverso meticolose leggi elettorali. Agli elettori è stata lasciata l’alternativa tra il sostegno a Putin e i partiti che avevano stretto accordi per non fargli opposizione qualora fosse stato loro concesso di restare in parlamento. Nella prima categoria c’è «Russia Giusta», la cui prima mossa dopo il voto è stata di proporre un’estensione della presidenza Putin. Nella seconda, c’è il Partito comunista, che ha avuto - o meglio: gli è stato accordato - l’11,6% dei voti (circa il 20%, secondo un conteggio indipendente) con 57 seggi alla Duma su 450. Il numero così basso ha reso furioso il leader dei comunisti Gennady Zyuganov al quale il Cremlino avrebbe promesso almeno 90 seggi in cambio della lealtà. Adesso muove accuse di brogli. Mi spiace, Gennady, ma io te l’avevo detto. Carrettate di elettori sono stati trasportati da un seggio all’altro. C’è stato un altissimo aumento dell’astensione (molti avevano dato ai dipendenti chiare istruzioni) e in alcuni seggi ci sono stati più voti che votanti.

La differenza tra la democrazia e il sistema Putin è come la differenza tra una sedia in cuoio e una elettrica. Forse le più vergognose sono le statistiche ufficiali in Cecenia e Daghistan: il 99 per cento dei voti ceceni è andato a «Russia Unita». Cioè al partito di Putin, che meno di 10 anni fa ha scatenato la seconda guerra cecena radendo al suolo Grozny. Si può immaginare che cosa devono aver pensato i boss di «Russia Unita» di un Hugo Chavez che, quello stesso giorno, perdeva per un miserabile un per cento. Dilettante! Intanto a Mosca e San Pietroburgo «Russia Unita» è arrivata appena al 50 per cento. Non è una mera coincidenza che gli abitanti di queste città abbiano un più facile accesso a notizie diverse da quelle fornite dal Cremlino grazie a una maggior diffusione di Internet e dell’«Eco di Mosca», la radio dove ancora si sentono tutte le voci.

Il fatto che Putin abbia tenuto forsennati discorsi elettorali era un’indicazione di quanto importante considerasse il voto. Il linguaggio rabbioso era quasi in codice quando metteva in guardia contro «i nemici interni» e gli «sciacalli» appoggiati dall’Occidente. Una settimana prima delle elezioni, la marcia della nostra pacifica «Altra Russia» era stata interrotta dalla polizia e io, con una decina di sostenitori, ho passato cinque giorni in prigione dopo un processo che avrebbe fatto arrossire Kafka. Perché darsi la pena di un tale sforzo quando il controllo del Cremlino è già in apparenza così assoluto? Dobbiamo ricordare che pure Stalin tenne elezioni nel 1937, durante il Terrore. E i risultati di domenica hanno confermato il ritorno al partito unico e onnipotente. Per Putin il voto era importante per diverse ragioni. Innanzitutto il suo stretto rapporto con i leader occidentali serve come garanzia ai suoi oligarchi che il loro denaro è al sicuro. Se Putin scaricasse troppo manifestamente le ultime tracce di democrazia, questa comoda situazione finirebbe. Dobbiamo solo aspettare per vedere se quest’ultima trovata basterà a evitare che l’Europa finalmente faccia qualche mossa, per esempio riporti il G7 a quello che era in origine: il gruppo delle sette grandi democrazie occidentali. Le prime indicazioni non sono incoraggianti. Nicolas Sarkozy si era presentato come uomo duro ma sembra che, dopo qualche bevuta con Putin, gli siano venute le ginocchia molli. Domenica il Presidente francese ha subito chiamato il collega russo per congratularsi. Putin soppesa questi segnali dall’Occidente, cercando i segni di una qualche reale pressione. La maggior parte dei commenti non sono stati positivi, soprattutto nei media, ma che pericoli possono esserci se Sarkozy o il vecchio amico Tony Blair hanno chiamato?

L’altro scopo della campagna del Cremlino era fornire al regime una copertura pseudo-democratica a qualunque macchinazione venga escogitata per tenere saldo il potere dopo l’elezione presidenziale del 2 marzo. Putin non può correre una terza volta, almeno la Costituzione dice così e ha promesso di non cambiarla - se volete prestar fede alle promesse di un ex colonnello del Kgb. Dopo otto anni benedetti da prezzi record del petrolio e da un Occidente distratto dalla «guerra al terrore», il regime di Putin ha raggiunto il suo punto di crisi. Tra breve dev’essere nominato il candidato presidenziale del Cremlino. Dev’essere una scialba marionetta, che porti presto - su richiesta «del popolo» o di un’emergenza sanitaria - al ritorno di Putin? O riusciranno a trovare qualcuno abbastanza stupido da assumersi la responsabilità quando le infrastrutture russe - a lungo trascurate - e l’economia collasseranno? O cambieranno il sistema, sventrando la presidenza in modo che Putin possa portare il potere con sé in una nuova carica? Dopo l’amichevole visita di Putin in Iran in ottobre, mi sono chiesto se stesse prendendo in considerazione un nuovo titolo per sè, al di sopra delle insignificanti responsabilità del primo ministro o dell’antica grandeur del Segretario Generale del Partito. Magari leader supremo ayatollah Putin?

*già campione mondiale di scacchi, leader della coalizione Altra Russia .

CITO FRANCESCO

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